Di questi tempi, parole come fotovoltaico, agrivoltaico e agrisolare sono all’ordine del giorno ma, nonostante questo, spesso vengono usati in modo improprio. E questo ha creato non pochi problemi interpretativi, soprattutto in ambito autorizzativo e normativo.

A tal proposito, una distinzione chiara e autorevole tra queste tipologie è stata finalmente tracciata grazie a recenti provvedimenti giurisprudenziali, in particolare dalla sentenza n. 8029/2023 del Consiglio di Stato. Oggi riprenderemo il testo giuridico per spiegare con chiarezza cosa distingue un impianto fotovoltaico da uno agrovoltaico, con il supporto delle fonti tecniche più aggiornate e attendibili.

Fotovoltaico: impianti per la sola produzione di energia

Il fotovoltaico tradizionale è la tecnologia che prevede l’installazione di pannelli solari, a tetto o a terra, esclusivamente per la produzione di energia elettrica. Quando installati a terra, questi impianti tendono a impermeabilizzare il suolo sottostante con cemento o ghiaia, impedendo la crescita di vegetazione e azzerando la funzione agricola del terreno. Per questa ragione, tali impianti sono spesso soggetti a vincoli paesaggistici e a valutazioni ambientali restrittive.

Questi impianti non consentono la continuità dell’uso agricolo del fondo. Il terreno diventa sterile dal punto di vista produttivo, e si verifica una modifica sostanziale del paesaggio. L’utilizzo agricolo viene completamente sacrificato a favore della generazione elettrica, punto che viene sottolineato dalla sentenza del Consiglio di Stato, la quale chiarisce come nei fotovoltaici a terra “il suolo viene reso impermeabile e viene impedita la crescita della vegetazione.

Agrivoltaico: un sistema ibrido e compatibile con l’agricoltura

L’agrivoltaico, o agrofotovoltaico, è completamente diverso. È un sistema progettato per integrare la produzione agricola con quella energetica. I pannelli fotovoltaici vengono montati su strutture sopraelevate, spesso orientabili, che lasciano spazio sufficiente tra i moduli e il terreno per consentire la coltivazione diretta, il passaggio della luce solare e il transito dei macchinari agricoli.

Quindi il suolo non viene impermeabilizzato, ma spesso viene addirittura valorizzato. L’agrovoltaico permette infatti il recupero produttivo di terreni in stato di abbandono. La coltivazione avviene sotto i pannelli o tra le file, e in alcuni casi l’ombreggiamento generato dai moduli può persino favorire la resa di specifiche colture, riducendo lo stress idrico e l’esposizione al calore.

È questo il motivo per cui il Consiglio di Stato, nella sentenza n. 8029/2023, ha stabilito che “gli impianti agrivoltaici non possono essere assimilati agli impianti fotovoltaici tradizionali, né sotto il profilo tecnico né sotto quello giuridico.

Differenze giuridiche fondamentali

Dal punto di vista giuridico e autorizzativo, la distinzione ha un certo peso. Gli impianti fotovoltaici a terra, per la loro invasività ambientale, sono spesso soggetti a vincoli paesaggistici molto rigidi.

L’agrivoltaico, invece, grazie alla sua natura non invasiva e alla sua capacità di garantire la continuità della destinazione agricola del suolo, gode di un regime più favorevole. Il Tar e il Consiglio di Stato hanno infatti annullato numerosi dinieghi motivati da un’errata assimilazione tra agrivoltaico e fotovoltaico, come nel caso della sentenza citata sopra.

Le pronunce del TAR Lecce e del TAR Bari sono state coerenti nel riconoscere l’autonomia dell’agrivoltaico come tipologia di impianto non assimilabile al fotovoltaico puro.

Il caso dell’Agrisolare e il ruolo del PNRR

Un ulteriore termine che spesso genera confusione è quello di “agrisolare”. Con questo si intende l’installazione di pannelli fotovoltaici su edifici a uso agricolo, come stalle, magazzini, serre o fienili. È una soluzione incentivata attraverso il Bando Parco Agrisolare del PNRR, che finanzia impianti fotovoltaici sui tetti, escludendo l’uso del suolo.

L’agrivoltaico, al contrario, è regolato dal Decreto Agrivoltaico (emanato dal MASE) e riguarda impianti a terra con uso agricolo compatibile. Il decreto stabilisce che almeno il 70% del terreno deve rimanere destinato all’attività agricola, e i moduli devono essere installati in modo da non ostacolare la coltivazione. Per accedere agli incentivi agrovoltaico previsti, le aziende devono garantire la piena coesistenza tra produzione elettrica e agricola.

Perché la distinzione è importante

Separare concettualmente e legalmente agrivoltaico e fotovoltaico è una scelta strategica per il futuro dell’agricoltura e dell’ambiente. L’agrivoltaico consente infatti di coniugare la sicurezza alimentare con la decarbonizzazione, obiettivo importantissimo per le future generazioni.

Fotovoltaico e agrivoltaico non sono intercambiabili. Il primo è finalizzato unicamente alla produzione elettrica, mentre il secondo è pensato per garantire un equilibrio virtuoso tra energia e agricoltura. Distinguerli aiuta a generare norme più concrete per la tutela ambientale e a destinarli in maniera più consona in base alla loro finalità d’uso.

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Ultimo aggiornamento: 7 Maggio 2025